sabato 12 aprile 2008

Guaranà


"Il problema non è essere in molti su questo pianeta, ma essere molto stupidi."

Dopo delle note intimiste, in cui ho lasciato trasparire il mio animo, è ora di ritornare ad informare i lettori su questo mondo esotico, lettori che tra l'altro invito a lasciare dei commenti, se non altro per correggere le stupidaggini che posso dire o per intavolare un dibattito.
Il titolo di questo articolo non dovrebbe risuonare insolito, penso che alcuni abbiano già avuto modo di provare questo frutto che nell'Amazzonia e proprio dove mi trovo, ha la sua terra d'origine.
"Sateré-mawé éco ga'apypiat waraná mimotypoot sése" in lingua Sateré-Mawé significa: "santuario ecologico e culturale del guaranà del popolo Sateré-Mawé", un territtorio che indica tutta l'attuale area indigena riconosciuta nel 1982 dal governo federale brasiliano. In questa terra che ha circa l'estensione dell'Umbria (più o meno 780 mila ettari quadrati), si trova infatti l'unico banco genetico del guaranà al mondo. In pratica, qui e solo qui si può incontrare il guaranà nativo, tutto quello che cresce nella altre regioni del Brasile è frutto di incroci e manipolazioni dell'uomo.
La leggenda, che è un vero e proprio mito fondatoro di questa popolazione indigena, sostiene che il guaranà non è una semplice pianta che contiene questo o quel principio attivo. La tradizione vede in esso l'origine di un popolo, ma anche di una vera e propria medicina. C’era una volta una donna -racconto grossolanamente in pochi minuti una storia che meriterebbe una notte intera - che aveva due fratelli che non volevano che lei si sposasse. Perché lei guariva con le erbe e loro volevano che si prendesse cura solo di loro. Ma un serpentello le toccò una gamba e lei ne rimase incinta. I fratelli allora la espulsero dal suo stesso giardino, il giardino di Nosoquem. Quando ebbe 5 anni però, al bambino venne voglia di tornare per mangiare le castagne (che noi chiamiamo ‘noci del Brasile’) e gli zii ne approfittarono per farlo a pezzi. La madre, accorsa, raccolse i resti del bambino e gli disse (anche se era già morto): “E va bene, figlio mio. Sono stati i tuoi zii ad ordinare di ammazzarti. Volevano che tu restassi un povero disgraziato, ma non sarà così. Tu sarai la più grande forza della natura, tu farai il bene di tutti gli uomini, tu sarai grande, tu libererai gli uomini da certi mali e li curerai da altri”. Poi seppellì a parte, in due buche, gli occhi. Da un occhio nacque in seguito la pianta del falso guaranà, e dall’altro la pianta del guaranà autentico; dalla tomba in cui seppellì i resti del corpo, sorsero invece, nel giro di alcuni giorni, vari animali; per prima la scimmia caiarara (una scimmia sempre nervosa, agitata, irritabile, angosciata, che cammina in fila indiana e lascia il proprio cibo per andare a rubare quello degli altri membri del branco, antenata dell’uomo bianco). Per ultimo, infine, risorse il bambino: come capostipite di tutti gli indios Sateré-Mawé.
Il guaranà quando si dischiude, in marzo ed in ottobbre, assomiglia proprio ad un occhio. Un occhio che dalla foresta vergine abbraccia tutto il mondo.
Come vuole la leggenda, infatti, il guaranà (chiamato waranà dagli indios), non è fatto per rimanere nel folto della giungla. I Sateré hanno saputo addomesticare questa liana e da tempo remoto la coltivano nei campi in prossimità dei loro villaggi. Da secoli inoltre lo inviano oltre i confini del mondo per loro fisicamente raggiungibile (nel'700 lo esportavano addirittura oltre i confini del territorio brasiliano!).
Molte piante che i Sateré usavano, come quasi tutti gli indios amazzonici, sono state progressivamente ostracizzate o represse dall'autorità pubblica e dalle varie confessioni religiose che qui s'incontrano (i Sateré sono tutti cristiani: cattolici, battisti, avventisti o dell'Assembléia de Deus). L'ayahuasca, una bevanda ottenuta dall'infusione di una liana e di una foglia che meriterebbe un capitolo a parte e che ha delle forti proprietà allucinogene, il paricà, una polvere vegetale, anch'essa psicotropa, che viene soffiata per mezzo di un tubo nelle narici, la marijuana, introdotta in tempi più recenti, sono state tutte via via bandite. Al giorno d'oggi, gli sciamani, che in lingua interetnica si chiamano pajé, per i loro viaggi di cura rituale nel mondo delle ombre, si avvalgono quasi esclusivamente della cachaça (distillato della canna da zucchero) o dell'alcol etilico puro. Stessa sorte lo sta subendo anche l'uso quotidiano di centinaia di piante medicinali, che la nostra cultura basata sul rimedio chimico, che da un sollievo immediato, sta tentando di far scomparire.
Il fatto di essere apprezzato dai Gesuiti, ha salvato il guaranà se non dall'estinzione fisica, da quella culturale e ha permesso che il suo uso continuasse a far parte della tradizione Sateré. Quando un visitatore arriva in un villaggio è infatti usanza offrirgli il çapò, una bevanda a base di guaranà e acqua preparata dalle donne. Seduti sotto una capanna mi è capitato più volte di assistere alla sua preparazione: una donna prende una ciotola di legno con dell'acqua e con una pietra comincia a grattarci dentro un pezzo di bastone di guaranà. La ciotola è offerta ai presenti e deve far preferibilmente due giri, perchè altrimenti i propri figli nasceranno con un solo orecchio. Il sapore di questo caffè della foresta è leggermente amaro e con un piacevole sentore di affumicato. I semi di guaranà, infatti, dopo essere raccolti sono pestati dentro un grande mortaio, con l'aggiunta dell'acqua poi vengono trasformati in una sorta di massa molle che è lavorata per formare bastoni di mezzo chilo o un chilo. L'ultimo passaggio, e quello che ne dà il sapore caratteristico, è l'affumicazione su una struttura sospesa su delle braci di un legno aromatico, alimentate per circa tre mesi. In tal modo, oltre ad avere un sapore differente dalla semplice polvere ottenuta dalla macinazione dei semi tostati che si trova sul mercato, il guaranà può conservarsi per anni, al riparo dalle muffe.
Per la stragrande maggioranza dei brasiliani quanto ho appena descritto è puro esotismo, come per un europeo. Una sera mi è capitato di offrire un seme di guaranà ad un ragazzo con cui ero uscito e non sapeva cosa fosse. Questo succede qui nello stato di Amazonas, negli stati più a sud, dove la popolazione è più globalizzata e di origine europea, probabilmente igorano anche l'esistenza della liana del guaranà.
Infatti, il Brasile intero è un forte consumatore di quelli che qui si chiamano refrigerantes, ossia delle porcherie piene di zuccheri, gas e varie sostanze chimiche simili alle nostre cole. I più venduti sono quelli che contengono l'estratto di guaranà, prodotto in grandi stabilimenti in parte controllati dalla Pepsi. Questo guaranà di pessima qualità è ottenuto a partire da piante clonate, create in laboratorio, che si stanno progressivamente diffondendo anche qui nella terra d'origine e da piantagioni estensive nello stato di Salvador de Bahia. E' un guaranà questo che gode di tutti i difetti dell'agricoltura industrializzata: ricco di residui di diserbanti e fertilizzanti, impoverito geneticamente e trasformato in fretta, così da contenere tenori molto bassi di caffeina (il guaranà dei Sateré ha un tenore caffeinico tra il 4 ed il 5 %, mentre il caffé ne possiede tra l'1 e il 2%) e perdere molte altre piccole sostanze che ne garantiscono la digeribilità e gli effetti positivi sul corpo umano.
Il guaranà legìtimo, come si direbbe qui, è certo un forte stimolante nervoso, ma la sua caffeina è assimilata lentamente, grazie alla presenza delle fibre vegetali, che i processi artigianali non distruggono. Inoltre, questo frutto della foresta può essere usato contro la febbre e la diarrea, e agisce come depurativo e fortificante del sistema cardiaco. Ma qui è risaputo che il suo abuso ha portato più di un europeo o un giovane incosciente all'ospedale.
Come nel caso di altri doni della natura, anche il guaranà è diventato l'ennesimo principio attivo da ingurgitare per rendere di più, sia nel lavoro che nelle feste. Il nervosismo, l'insonnia e la tachicardia che ci chiede in cambio, potrebbero essere visti come una sorta di pena inflittaci dal bambino-guaranà, l'antenato dei Sateré, che ci sta ricordando la nostra superba stupidità, e forse anche la nostra discendenza da quella scimmia perennemente agitata.

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