venerdì 7 marzo 2008

Perchè?


Perchè mi trovo qui?
E' la domanda primordiale a cui cercherò di rispondere.
Ci sono dei motivi concreti, pragmatici e dei motivi altrettanto concreti, ma personali.
Essenzialmente ed ufficialmente sono qui perchè sto svolgendo il servizio civile all'estero. Forse non tutti voi sanno cos'è. Si tratta della possibilità di passare un certo periodo di tempo all'estero come volontario del servizio civile italiano, che un tempo era l'alternativa al servizio militare obbligatorio per noi maschietti e che ora, essendo stato sospeso quest'ultimo, è diventato completamente facoltativo e aperto anche alle donne. Ogni anno esce un bando, più o meno in maggio o giugno, e lì sono elencate tutte le associazioni o ong che possono inviare delle persone verso i paesi in cui stanno operando. Il loro numero varia attorno alle 500, dipendendo sostanzialmente dalle politiche del governo in carica: se ha destinato abbastanza fondi, se ha interessi a far partire subito le attività dei volontari, ecc. Infatti con il governo Berlusconi le cose si sono un po' complicate, soldi non sono stati stanziati e persone non sono partite nei tempi previsti.
Io non ho avuto tutte queste disavventure e ho iniziato il mio servizio il primo di ottobre dello scorso anno, presso un'associazione di Milano, Acea, di cui vi consiglio guardare il sito (www.consumietici.it). Certo il tutto è stato molto confuso, contraddistinto da una disorganizzazione a volte disarmente, ma non posso negare, che quando ho avuto la notizia che ero stato scelto per venire qui in Brasile ero più che felice. Ed è stato un caso, se non fosse che al caso, soprattutto in certi casi, non ci credo.
In luglio, dopo aver presentato la domanda per essere selezionato da una delle decine di associazioni presenti nel bando ed in particolare all'ARCI Lombardia, mi ero recato a Milano per un colloquio. Io avevo scelto un'associazione che faceva parte dell'ARCI e che aveva tra le sue destinazioni il Senegal, perchè nel bando si parlava di un progetto relativo al recupero delle conoscenze mediche tradizionali. Mi sembrava il luogo e l'occasione migliore per vivere tutte quelle nozioni che avevo letto qua e là, tutti quei riferimenti ad un mondo scomparso o in via di estinzione in cui un malato non è un insieme di organi da riparare come fosse una vettura, dove per guarire non si prende una pastiglia prima o dopo i pasti, ma dove l'essere umano è parte integrante di ciò che lo circonda, in cui la malattia è la rottura dell'equilibrio che deve esserci tra noi e ciò che è fuori da noi.
Dopo essere arrivato a Milano, in una giornata afosa, di quelle che ti fanno amare la pianura padana, dopo aver raggiunto, sudato e schifato dall'urbe finanziaria, il luogo dove si svolgevano i colloqui, ho capito che l'essere scelto per dovevo volevo andare sarebbe stato oltremodo difficile. Lo stanzone era pieno di gente che aveva già viaggiato di qua e di là, per tesi, per volontariato o per piacere, per paesi che per me erano cartoline dipinte dai racconti, dai romanzi, dalle voci delle persone che li avevano visitati, insomma delle fantasie esotiche, senza né capo né coda.
La sensazione di non poter reggere il confronto con chi aveva avuto la fortuna, i soldi dei genitori o la forza mentale di viaggiare nel mondo ignoto era forte. Ma soprattutto la gente era molta, la fila lunga e le mie forze poche, visto che mi ero svegliato all'alba per prendere il treno da Bologna.
Mentre attendevo il mio turno, un ragazzo, uno di quelli che gestiva la moltitudine lì accorsa, mi disse di provare con un'altra associazione che quel giorno faceva i colloqui. Io, senza ricordarmi quali fossero i progetti che la suddetta aveva, ci andai, dicendomi che era meglio tentare.
Il colloqui iniziò nel modo più inaspettato, non con le domande di rito che uno si aspetta: titoli di studio, lingue parlate, esperienze precedenti. Il presidente dell'associazione che poi mi avrebbe scelto, mi si rivolse con una di quelle domande che potrebbero mettere in difficoltà anche la persona più convinta: "cos'è l'autostima?".
Per un attimo il mio cervello si bloccò, poi senza sapere come, iniziai a parlare con una fluenza sufficiente per dare valore a quello che stavo dicendo ed immagino, visto l'esito positivo del colloquio, per convincere le persone che mi stavano esaminando.
Ma tutto questo fa parte dei motivi apparenti, ufficiali e pratici del mio essere qui. La verità più intima è che dopo la laurea, e in qualche modo anche prima, avevo deciso di starmene fuori dall'Italia per un po'. Ci avevo tentato con Barcelona, tra luglio e agosto del 2006, con la scusa di studiare lo spagnolo, con una borsa di studio della Regione Friuli e del Fondo Sociale Europeo, ma a parte fare festa e seguire i corsi di lingua al mattino non avevo fatto niente di meglio.
Finiti i corsi, tornai in Italia, con la convinzione che la metropoli catalana non faceva per me, un po' perchè non avevo saputo ambientarmi, un po' perchè le città grandi non mi piacciono, un po' perchè Barcelona sta perdendo il suo fascino di città aperta e tollerante, mi sembra infatti che stia diventando l'ennesima città turistizzata d'Europa, e perchè il catalano non mi piace per niente.
Così avevo passato l'autunno e l'inverno in un limbo fastidioso, sospeso tra le visite a Venezia e a Bologna, in una situazione post-studentesca che non mi apparteneva, e i tentativi di trovarmi un lavoro, almeno per passare il tempo e per non finire senza soldi.
Ma quello che volevo, non era trovarmi un lavoro in Italia, per poi lamentarmi di un paese che stava invecchiando precocemente e che mi sembrava aver dato il meglio di sé fino al 1977 con le ultime grandi contestazioni studentesche e giovanili. Certo, anche gli anni '80 erano stati più attivi socialmente e culturalmente di questi nostri anni, ma ho sempre pensato che fosse così perchè vi era coinvolto ancora lo spirito anticonformista delle due decadi precedenti, se non adirittura le stesse persone. Dopo l'energie si sono esaurite, le persone, i gruppi di persone si sono sempre più chiuse a riccio di fronte ad una società che aveva operato una piccola ma profonda sostituzione nei suoi ideali: comunismo, consumismo. Ed ora proliferano gli scazzi tra i collettivi, le derive da ghetto, in cui i militanti si chiudono tra 4 mura, in cui alla voglia di cambiare anche se stessi, si è sostituita la manifestazione in piazza, che il giorno dopo ritorna ad essere vuota.
Ci avevo provato a fare parte di questo mondo, ma ne ero rimasto deluso, non so se fosse colpa della situazione nel Triveneto, a dir poco ridicola o se fosse un problema più profondo, legato ad un momento storico in cui bisogna veramente darsi da fare per trovare altre strade, nuove e più coinvolgenti.
Volevo provare l'aria, magari frizzante, di un paese nuovo, dove i giovani della mia età non si lamentassero costantemente come se fossero dei vecchietti cui restano pochi anni di vita. Un paese con la possibilità di lavorare con una paga dignitosa e degli stimoli forti per guadagnarsela. Un paese giovane insomma.
Forse il Brasile ed in particolar modo l'Amazzonia non sono il tipo di posto che uno scieglierbbe per cercare tutto questo. Ma vale la pena uscire dai propri bloccchi, dai cortili recintati delle nostre piccole convinzioni, se non altro per osare a pensare a se stessi e al posto da dove veniamo in maniera differente.

1 commento:

alessandra ha detto...

a volte mettersi in discussione non è che essere un pò più elastici, saper guardare, ascoltarsi e ascoltare il mondo che c'è intorno.. ammalati di meraviglie

ciao dottore

alessandra