Percorrendola, anche solo per pochi giorni, in compagnia di persone che la conoscono, o che la abitano, si viene presto circondati da un mondo che pare quasi a sé stante, un pianeta d'acqua, alberi, animali ed esseri umani che sembra non esistere al di fuori di esso.
Eppure i confini che vediamo ben tracciati nelle mappe sono solo linee immaginarie fatte apposta per essere superate. Le merci poi non hanno patria, si spostano con la leggerezza degli uccelli migratori o dei pollini, che attraversano gli oceani. Così, sedendosi attorno ad un tavolo di legno sotto una capanna indigena nel bel mezzo della foresta pluviale, può capitare di fare colazione con delle uove strapazzate fritte nell'olio di un legume proveniente dall'Asia.
La soia in Brasile è come la passata di pomodoro in Italia. Oltre a quelle pseudo bistecche per vegetariani frustrati, o al latte privo di colesterolo, la soia troneggia negli scaffali dei supermercati e nelle mensole di ogni casa sotto forma di olio, all'apparenza simile a quello di semi o di mais. Ma è apparenza appunto, perchè il legume principe della cultura alimentare cinese e giapponese è uno dei prodotti agricoli che più ha subito gli interessi delle biotecnologie.
Spesso è difficile districarsi nella selva - quella si veramente infinita - dell'informazione attuale, dove ai bollettini degli ecologisti si affiancono le notizie di autorevoli esperti che difendono a spada tratta le ricerche dei centri di ricerca sulle biotecnologie. Certo è, che quando le dicerie si trasformano in un etichetta ben visbile sulla bottiglia che avete tra le mani, un po' di dubbi vi possono venire. Soprattutto perchè gli organismi trangenici, a cui cioè sono stati aggiunti "pezzetti" di DNA estraneo alla specie, non sono l'opera di pie fondazioni per la lotta alla fame nel mondo, ma di imprese trasnazionali che vedono in questi nuovi prodotti delle possibilità enormi di guadagno.
Ci è stato più volte detto che piante più resistenti potranno essere coltivate anche in zone oggi desertiche o che una frutta con il vaccino per l'epatite ci permetterà di vivere più a lungo, ma spesso queste voci non si fermano a pensare perchè certe zone siano desertiche o perchè non basterebbe mangiare meglio per essere più sani.
In Brasile la soia trasgenica è entrata con il primo governo Lula, proprio quel presidente tanto invocato dalla sinistra italiana ed è una delle cause dirette della deforestazione dell'Amazzonia. Tra il 2003 ed il 2004 lo stato del Mato Grosso ha raggiunto livelli record di distruzione del suo patrimonio forestale e non a caso chi siede alla carica di governatore è un certo Blairo Maggi, che è il più grande produttore di soia qui in Brasile. E non sono solo gli alberi le vittimi sacrificali di quella che qui si chiama "frontiera agricola", ma gli stessi indios, che da una parte cucinano le uova con l'olio di soia e qualche migliaio di km più a sud, a causa della stessa soia, vedono minacciati i loro territori ancestrali. Gli Enawene Nawe, una tribù di circa 420 membri, sta da anni lottando perchè l'area del Rio Preto nel Mato Grosso venga ufficialmente riconosciuta come terra indigena, prima della sua totale distruzione ad opera dei latifondi di soia e dei diserbanti che inquinano le falde acquifere (Fonte: AceA, http://www.consumietici.it) . Infatti, la vera fortuna delle piante ogm, tra cui mais, colza e cotone, è il fatto di essere resistenti ai diserbanti, che distruggono le piante attorno a loro, lasciando le coltivazioni ancora in piedi. Certo, mi verrebbe da chiedere come possano poi essere queste piante sopravvissute, quale il loro contenuto per la salute umana, nonchè per l'ambiente. Ma tutto questo non è che la "logica conseguenza di uno sviluppo che privilegia lo stravolgimento e la commercializzazione dell'ambiente e di tutto ciò che contiene", come sostiene Marina Seveso, una scrittrice e giornalista italiana, nel suo libro Speriamo in bio. La grande rivoluzione pacifica contro i cibi che minacciano la nostra salute, Orme Editori, 2006.
E stare nel bel mezzo della foresta, anche se lontani da inquinamento elettromagnetico, sonoro e
luminoso, non ci garantisce di essere veramente fuori da queste logiche perverse. Spesso le logiche, anche se si fa fatica a chiamarle tali, sono più pericolose dei prodotti di cui si fanno portatrici, perchè si radicano fin su nel nostro cervello, peggio del colesterolo, e ci fanno sopportare tutto questo con indifferenza, se non con tacito appoggio. Ricordo ancora un caro amico, di simpatie marxiste, che qualche anno fa' affermò che gli ogm erano indispensabili per fermare la fame nel mondo. Eppure, se c'è chi muore o perchè non ha cibo o perchè il cibo è contaminato, questo non dipende dalla mancanza di terra coltivata o di piante adatte, ma dalla distribuzione delle terre e dall'organizzazione del lavoro (o magari della sua trasformazione in qualcosa di meno schiavista!), proprio una di quelle rivendicazione che fino a pochi decenni fa' era prerogativa di un marxista! Per questo, più della bottiglietta di soia in mano ad un indio, mi preoccupa la ottusa indifferenza che ci stanno seminando in testa, che ci fa credere in modo acritico a tutte le panzane che si raccontano in giro.
Come diceva un cantante morto prima della fine del secolo scorso:"...intellettuali d'oggi, idioti di domani, ridatemi il cervello che basta alle mie mani..."
Eppure i confini che vediamo ben tracciati nelle mappe sono solo linee immaginarie fatte apposta per essere superate. Le merci poi non hanno patria, si spostano con la leggerezza degli uccelli migratori o dei pollini, che attraversano gli oceani. Così, sedendosi attorno ad un tavolo di legno sotto una capanna indigena nel bel mezzo della foresta pluviale, può capitare di fare colazione con delle uove strapazzate fritte nell'olio di un legume proveniente dall'Asia.
La soia in Brasile è come la passata di pomodoro in Italia. Oltre a quelle pseudo bistecche per vegetariani frustrati, o al latte privo di colesterolo, la soia troneggia negli scaffali dei supermercati e nelle mensole di ogni casa sotto forma di olio, all'apparenza simile a quello di semi o di mais. Ma è apparenza appunto, perchè il legume principe della cultura alimentare cinese e giapponese è uno dei prodotti agricoli che più ha subito gli interessi delle biotecnologie.
Spesso è difficile districarsi nella selva - quella si veramente infinita - dell'informazione attuale, dove ai bollettini degli ecologisti si affiancono le notizie di autorevoli esperti che difendono a spada tratta le ricerche dei centri di ricerca sulle biotecnologie. Certo è, che quando le dicerie si trasformano in un etichetta ben visbile sulla bottiglia che avete tra le mani, un po' di dubbi vi possono venire. Soprattutto perchè gli organismi trangenici, a cui cioè sono stati aggiunti "pezzetti" di DNA estraneo alla specie, non sono l'opera di pie fondazioni per la lotta alla fame nel mondo, ma di imprese trasnazionali che vedono in questi nuovi prodotti delle possibilità enormi di guadagno.
Ci è stato più volte detto che piante più resistenti potranno essere coltivate anche in zone oggi desertiche o che una frutta con il vaccino per l'epatite ci permetterà di vivere più a lungo, ma spesso queste voci non si fermano a pensare perchè certe zone siano desertiche o perchè non basterebbe mangiare meglio per essere più sani.
In Brasile la soia trasgenica è entrata con il primo governo Lula, proprio quel presidente tanto invocato dalla sinistra italiana ed è una delle cause dirette della deforestazione dell'Amazzonia. Tra il 2003 ed il 2004 lo stato del Mato Grosso ha raggiunto livelli record di distruzione del suo patrimonio forestale e non a caso chi siede alla carica di governatore è un certo Blairo Maggi, che è il più grande produttore di soia qui in Brasile. E non sono solo gli alberi le vittimi sacrificali di quella che qui si chiama "frontiera agricola", ma gli stessi indios, che da una parte cucinano le uova con l'olio di soia e qualche migliaio di km più a sud, a causa della stessa soia, vedono minacciati i loro territori ancestrali. Gli Enawene Nawe, una tribù di circa 420 membri, sta da anni lottando perchè l'area del Rio Preto nel Mato Grosso venga ufficialmente riconosciuta come terra indigena, prima della sua totale distruzione ad opera dei latifondi di soia e dei diserbanti che inquinano le falde acquifere (Fonte: AceA, http://www.consumietici.it) . Infatti, la vera fortuna delle piante ogm, tra cui mais, colza e cotone, è il fatto di essere resistenti ai diserbanti, che distruggono le piante attorno a loro, lasciando le coltivazioni ancora in piedi. Certo, mi verrebbe da chiedere come possano poi essere queste piante sopravvissute, quale il loro contenuto per la salute umana, nonchè per l'ambiente. Ma tutto questo non è che la "logica conseguenza di uno sviluppo che privilegia lo stravolgimento e la commercializzazione dell'ambiente e di tutto ciò che contiene", come sostiene Marina Seveso, una scrittrice e giornalista italiana, nel suo libro Speriamo in bio. La grande rivoluzione pacifica contro i cibi che minacciano la nostra salute, Orme Editori, 2006.
E stare nel bel mezzo della foresta, anche se lontani da inquinamento elettromagnetico, sonoro e
luminoso, non ci garantisce di essere veramente fuori da queste logiche perverse. Spesso le logiche, anche se si fa fatica a chiamarle tali, sono più pericolose dei prodotti di cui si fanno portatrici, perchè si radicano fin su nel nostro cervello, peggio del colesterolo, e ci fanno sopportare tutto questo con indifferenza, se non con tacito appoggio. Ricordo ancora un caro amico, di simpatie marxiste, che qualche anno fa' affermò che gli ogm erano indispensabili per fermare la fame nel mondo. Eppure, se c'è chi muore o perchè non ha cibo o perchè il cibo è contaminato, questo non dipende dalla mancanza di terra coltivata o di piante adatte, ma dalla distribuzione delle terre e dall'organizzazione del lavoro (o magari della sua trasformazione in qualcosa di meno schiavista!), proprio una di quelle rivendicazione che fino a pochi decenni fa' era prerogativa di un marxista! Per questo, più della bottiglietta di soia in mano ad un indio, mi preoccupa la ottusa indifferenza che ci stanno seminando in testa, che ci fa credere in modo acritico a tutte le panzane che si raccontano in giro.
Come diceva un cantante morto prima della fine del secolo scorso:"...intellettuali d'oggi, idioti di domani, ridatemi il cervello che basta alle mie mani..."